Alzi la mano chi, in questo ultimo anno, non si è imbattuto in un articolo sulla stanchezza provocata dalle molte ore passate davanti allo schermo e sui rimedi per sconfiggerla bevendo tisane allo zenzero (lo zenzero oggi è quello che era l’Aulin ieri, cura praticamente tutto).

Perché ve ne parlo anche io, allora? Perché mi sono imbattuta in una ricerca che fa delle considerazioni molto interessanti sui motivi per cui le riunioni a distanza, su Zoom o altre piattaforme, ci stancano di più di quelle dal vivo.

La ricerca, condotta dal Professor Jeremy Bailenson, direttore del laboratorio sulle interazioni umane virtuali della Stanford University (sì, esiste ed è stato fondato nel 2003 con lo scopo di “comprendere meglio gli effetti psicologici e sul comportamento della realtà virtuale e della realtà aumentata) è stata pubblicata il 23 febbraio 2021 sulla rivista Technology, Mind and Behaviour, e identifica 4 cause della cosiddetta “zoom fatigue“.

Queste cause non sono proprie della piattaforma Zoom, ma si applicano a qualsiasi piattaforma di videoconferenze. Essendo Zoom la più utilizzata (è passata da 10 milioni di utenti nel 2019 a più di 300 milioni di utenti giornalieri!) il professore utilizza la marca per il prodotto, come si fa con i Kleenex e con lo Scottex.

La scoperta interessante della ricerca è che, contrariamente a quanto si creda, le riunioni virtuali non sono stancanti perché ci manca il linguaggio non verbale. Al contrario, sono stancanti proprio perché c’è un sovraccarico di non verbale.

Ma procediamo con ordine e vediamo le 4 cause che la ricerca ha identificato.

1. Quantità eccessiva di contatto ravvicinato

In una riunione dal vivo manteniamo una certa distanza dall’interlocutore. Più in generale, interagiamo ad una distanza ravvicinata solo con un numero limitato di persone che facciamo entrare nel nostro spazio vitale. L’essere umano non vive molto bene l’invasione di questo spazio vitale da parte di estranei. E’ quello che succede per esempio in ascensore, dove per limitare gli effetti di questa vicinanza innaturale guardiamo per aria, abbassiamo gli occhi, il tutto in pochi lunghissimi secondi di estremo imbarazzo. La piattaforma, invece, ci porta ad mantenere un contatto visivo per ore con un’immagine ingrandita e ravvicinata di un estraneo. I messaggi che arrivano al cervello in questa situazione sono due: accoppiamento o lotta. Potete immaginare che il livello di stress generato da queste interazioni sia abbastanza alto.

Fa parte di questa prima motivazione anche il contatto visivo prolungato con più persone. Durante una riunione, sia da oratori che da partecipanti, non abbiamo lo sguardo puntato addosso tutto il tempo. Guardiamo le slides, il soffitto, gli appunti, il cellulare. La conversazione virtuale, invece, ci obbliga a tenere gli occhi fissi sullo schermo tutto il tempo, ed allo stesso tempo ad essere guardati costantemente da tutti gli alti partecipanti. Anche qui il messaggio che arriva alla parte più primitiva del cervello non è proprio rassicurante.

2. Maggiore autovalutazione

Le piattaforme hanno come importazione di default quella di mostrare la nostra immagine sullo schermo, insieme a quella degli altri partecipanti. E’ come lavorare seguiti da qualcuno che regga uno specchio nel quale guardarci tutto il tempo. Capite quanto questo sia innaturale e quante critiche negative su se stessi possa generare il fatto di essere costantemente esposti alla vista della propria immagine in uno schermo.

3. Troppo carico cognitivo

La quantità di non verbale, sia in uscita che in entrata è maggiore rispetto ad una riunione in presenza. Mi spiego.

In videoconferenza, i partecipanti hanno la tendenza ad esagerare il linguaggio non verbale per sopperire alla distanza fisica. E così si fanno gesti eccessivi, si annuisce vistosamente, si sorride esageratamente, si fanno pollici all’insù, e si parla con un tono di voce più alto.

Allo stesso tempo, i gesti altrui che in presenza sarebbero interpretati più facilmente, a distanza richiedono una decodifica più impegnativa. L’occhiataccia del collega può non essere diretta a noi ma a suo figlio che è entrato senza bussare. Così come uno sguardo verso il basso non è per forza segno di una distrazione o di una mancanza di interesse verso quello che stiamo dicendo.

Questo carico cognitivo, sia in uscita esagerando la gestualità che in entrata per interpretare diversamente un segno non-verbale, comporta una stanchezza ulteriore, assente in una riunione dal vivo.

4. Immobilità fisica

Durante la riunione virtuale siamo costretti a mantenerci in un cono visivo che è quello della nostra webcam e dal quale non possiamo uscire. Questa immobilità è stancante e controproducente. In condizioni normali, durante una riunione ci alziamo, ci facciamo un caffè, ci sgranchiamo le gambe, scarabocchiamo su un foglio. Il fatto di impegnarsi in attività che non richiedano un impegno mentale durante un’attività più impegnativa aumenta la concentrazione e la produttività.

Che fare? 

Bailenson suggerisce una serie di accorgimenti, agli utenti e alle piattaforme, per migliorare la fruizione di una riunione a distanza. Ecco qualche piccolo suggerimento da implementare durante la prossima videoconferenza su Zoom:

  • utilizzare la visione a mosaico per ridurre il contatto ravvicinato con un estraneo
  • rimuovere l’impostazione di default per cui la nostra immagine appare sullo schermo e nasconderla
  • spegnere la telecamera e invitare gli altri a farlo (o evitare di guardare lo schermo) per alleggerire il carico cognitivo
  • connettersi da un cellulare in modo da potersi muovere durante la conferenza

Nella ricerca Bailenson precisa che la sua non è una critica al telelavoro, di cui lui ne vanta i numerosi benefici (risparmio di tempo, risparmio energetico, risparmio di soldi). Da psicologo dei media offre degli spunti che possano rendere le piattaforme più adatte ad una modalità di lavoro che prenderà sempre più piede.

il professore e la sua squadra hanno messo a punto un questionario per misurare la  Zoom Exhaustion & Fatigue Scale, una scala di misura delle stanchezza provocata dalle videoconferenze. Se vuoi scoprire il tuo livello di Zoom fatigue, puoi complilare il questionario e partecipare alla ricerca. 

Photo by Tima Miroshnichenko from Pexels